LUIGIA SORRENTINO, “OLIMPIA”

di Giovanni Agnoloni

Luigia SorrentinoLuigia Sorrentino, Olimpia, ed. Interlinea (prefazione di Milo de Angelis, postfazione di Mario Benedetti)

Raccolta poetica di notevole profondità e intensità, Olimpia di Luigia Sorrentino segna un punto di approdo ma anche di passaggio e di “nuovo accesso”, nella ricerca letteraria dell’autrice, già famosa a livello italiano e conosciuta anche sulla scena internazionale. Il suo è un percorso intimo, ricco di rimandi e risonanze e dalla forte ascendenza sapienziale. Tocca le questioni ultime dell’esistenza ed è al tempo stesso mondo e paesaggio interiore, come in:

senza steli stavamo sulla spianata
trasportati qui dove si tace di gioia,
tace su tutto chi possiede
quello spirito del futuro
sopra le rovine

L’universo e l’intera condizione umana paiono coincidere, in un punto di infinita potenza e indicibile fragilità. È a questa segreta linea di confine che tende la poesia di Luigia Sorrentino, la cui esperienza del mondo – da ottima giornalista culturale quale è – è almeno pari alla sua sensibilità, femminile sicuramente, ma anche, per così dire, sibillina, nella misura in cui sembra volersi rendere tramite per messaggi provenienti dall’Oltre:

ora come un tronco la voce
infilza i nostri cuori
e li accresce, in tutto ciò che siamo
in mezzo alle querce e agli ulivi
in tutto ciò che siamo stati

Frutto di una lunga e paziente ricerca della “parola perfetta”, o meglio ancora del “suono perfetto”, questi versi sembrano volerci portare a una soglia, che sarà poi compito di ognuno di noi varcare, per conto proprio e con i propri tempi.

Segue una mia intervista all’autrice.

1. La tua poesia ha una profondità “iniziatica”. La tua ispirazione – come il titolo di questa raccolta, Olimpia, pare indicare – viene prevalentemente dalla tradizione lirica e, ancor prima, dal retroterra sapienziale della cultura greca?

Olimpia, fin dai primissimi versi conduce il lettore in un luogo che ha una precisa connotazione iniziatica, un antro: “Lei era lì/ non era più la stessa/ il volto sbiancato nell’intangibile/ nulla più le apparteneva / si rivoltava in un’altra che l’offendeva/ nell’involo mostruoso in lontananza/ lei era un soffio chiuso/” […] Un luogo dal quale comincia un viaggio sotterraneo, che poi è l’analogia della vita, ma anche della morte. Siamo dentro una montagna spaccata, in una zona profonda e oscura che contiene l’immagine del mondo, ma siamo anche nella lontananza da quella dimensione. Un luogo lontano ritorna, e non può fare a meno di ritornare, prende corpo, sostanza, nell’albore e nel buio. Una voce marca il percorso, centrato sull’armonia, ma anche sul contrasto: vita e morte, oscurità e luce, cielo e terra, maschile e femminile, opposti che ricorrono in tutta l’opera.

Noi siamo sulle rovine di una città, in un tempo assoluto, immobile, che contiene ogni possibile tempo. E il passaggio, da una dimensione all’altra, porta con sé il destino dell’uomo. Tutto è già accaduto, e, in questo tempo assoluto, coesistono il naturale e il soprannaturale. L’antro è, al tempo stesso, il luogo della morte iniziatica e quello di una ‘seconda nascita’. Dalle profondità della terra, parla un’essenza che se ne sta chiusa dentro una perdita. Qui la realtà sembra essere osservata da un retroterra culturale greco, arcaico, ma in una visione assolutamente istintiva. Ecco, credo che tutti questi elementi, messi insieme, fanno pensare a una poesia sapienziale e orfica e quindi, lirica: il voltarsi, l’oscillare sulla soglia del vento, la notte, il ritorno. La Creazione sta dentro un’emissione vocale, un suono, un soffio, che esce dalle labbra.

Ma nella poesia di Olimpia vi è anche una dimensione etica, intendendo per etica un’esperienza naturale e umana che incontra l’universale senza conoscerne le cause, anzi, ignorandole totalmente. In Olimpia vi è, alla fine, la consapevolezza che tutto ciò che l’essere umano può davvero conoscere è all’origine della propria esperienza individuale, e ciò non ha una spiegazione razionale. Tutto quello che scopriamo con la poesia come straordinari esseri individuali, continua a meravigliarci, a sorprenderci.

2. Leggendoti, si ha la netta sensazione che il tuo scrivere proceda per stati e passaggi interiori, goccia a goccia, e che tu cerchi di renderti quanto più possibile, più che “autrice”, tramite. È così?

– Sì, come abbiamo appena detto, fin dai primi versi di Olimpia siamo in uno stadio interiore e profondo. Come giustamente osservi, questi versi sono un tramite, in esso si compie l’esperienza. È un’essenza femminile che conduce l’attraversamento, che passa da una dimensione all’altra, fluttuando in una sostanza emotiva. È una madre che aiuta l’umanità, la sorregge, si mette la bocca del dio e chiede: “perché hai fatto questo?” Un dio le è entrato dentro quando più forte aduna i fiumi, nel suo volgersi e rivolgersi. Lei sa, custodisce la conoscenza e tutti porta nel suo grembo. Altrove è una guerriera, immobile e armata. Di certo è una figura dominante, connota stabilità, permanenza, e poiché ha la spina dorsale del dio, è anche simbolo del divenire, del movimento, e quindi, questo strano femminile, si determina anche in un elemento maschile.

Olimpia poi, è un’esortazione ad andare verso la bellezza, verso qualcosa di superiore, pur sapendo che nessuno si stabilirà permanentemente sulla vetta di una montagna. Vi trascorrerà qualche ora, poi tornerà alla vita di tutti i giorni.

Luigia Sorrentino (da lazionauta.it)

Luigia Sorrentino (da lazionauta.it)

3. Alcune di queste liriche sono state pubblicate in inglese nella celebre rivista “The Paris Review”. Quanto, nella traduzione, si conserva e quanto si rischia di perdere, della purezza originaria dei versi?

– La traduzione è un cambiamento di luogo restando nello stesso luogo, il luogo della poesia. Le persone che però stanno in quello stesso luogo e che devono operare il cambiamento di luogo sono due: l’autore e il traduttore. Se è vero che il traduttore può nella traduzione sottrarre qualcosa all’originale, è pur vero che la sua operazione è fondamentale. Nella traduzione abita il destino dell’opera, ed è grazie alla traduzione che l’opera acquisisce una forza nuova, del tutto imprevedibile. Nella traduzione l’opera si dà in pasto al mondo precipitando in una rete di significati e significanti che forse nella lingua originaria non aveva. La traduzione, potrei dirti, è come un’anima liberata che abbandona un corpo e ne assume un altro. Perpetua e conserva la memoria dell’altro, e insieme coesistono.

4. Sempre sulla purezza: altra percezione che i tuoi versi trasmettono è che siano nati da un lavoro di “sottrazione”, teso alla parola pura, nuda, colta nella sua vibrazione originaria. Si può dire che la tua poesia sia figlia di una sorta di meditazione, o di preghiera?

– Ciò che definisci lavoro di sottrazione è per me la snebbiatura del testo, ed è un lavoro durissimo, che va fatto con estremo rigore e senza cedere ad alcun sentimentalismo o automatismo.

Quando la lingua della poesia si fa carico dell’imperfezione dell’essere umano, diventa una lingua spirituale. E l’essenza spirituale è per me qualcosa di profondamente autentico; in essa l’umano si comunica in una lingua pura. Raggiungere lo spirituale nella poesia vuol dire trovarsi in uno stadio ultimo, finale, in un luogo in cui si trova l’essenza dell’essere. Forse per questo la poesia di Olimpia ti appare come una preghiera, perché i versi contengono frammenti di un’epoca oscura e in dissoluzione. Il dolore della perdita e la ricerca della verità nella sua integrità, si trasforma in una lotta nella ricerca dell’armonia. Il combattimento si svolge nell’intimo della coscienza e in un percorso ciclico. Il pericolo, la minaccia della malattia, la ricerca del riparo, il timore del dissolversi nel nulla, ha disposto i versi di queste poesie in una corale richiesta di salvezza che però forse, alla fine, non si raggiunge.

5. Infine, un’immagine archetipica ricorrente in questa raccolta: la porta. Perché? Olimpia corrisponde a una stagione di “accesso” a una nuova dimensione, nella tua vita, o si espande spontaneamente su tutti gli stati di transito dell’essere umano?

– Sicuramente Olimpia corrisponde a una dimensione di “accesso”, ma anche di “uscita” definitiva dal cosmo, in una caduta nell’ignoto. Forse questa seconda possibilità, per me, è quella più propria, anche se non escludo a priori che la porta si possa espandere a tutti gli stati di transito dell’essere umano. Le parole più ricorrenti nella raccolta sono soglia, confine, limite, e sono parole che ci chiedono di essere esplorate in tutti i modi possibili. La simbologia della porta – o delle porte, perché Porfirio ci dice che in realtà le porte sono due, due le vie: una è quella che percorrerà l’essere mortale, l’altra è la via dell’immortalità – può essere interpretata come il passaggio da quella che chiamiamo vita a quella che chiamiamo morte, vale a dire il passaggio dall’essere al non essere più. Di certo l’oltrepassare, lo sconfinamento del limite, è una condizione ultima, radicale. Ma la domanda che pone Olimpia ostinatamente quando chiede: “È quella la porta?” ci lascia soli in un significato – o in un significante – profondamente ambiguo. Non si sa se la porta sia il tramonto della terra e del destino dell’uomo, o se invece sia il sopraggiungere degli eterni, della terra che salva.

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