di Giovanni Agnoloni
C’è una storia del cinema che passa attraverso i cosiddetti B-movies. Pellicole non di primo piano, ma che possono entrare a far parte della nostra vita. Così è stato per me con i film di Bud Spencer e Terence Hill (al secolo, Carlo Pedersoli e Mario Girotti), storica coppia della commedia italiana, anche se magari non di quella di “prima categoria”, che ci ha regalato una serie di “western” e “polizieschi” in salsa comico-cazzottara.
Ancor oggi mi ritrovo a guardare Lo chiamavano Trinità (di Enzo Barboni, alias E.B. Clucher, del 1970) e il seguito Continuavano a chiamarlo Trinità (dello stesso regista, del 1971), o …Altrimenti ci arrabbiamo! (di Marcello Fondato, del 1974), due pezzi fondamentali della loro produzione. E mi ci soffermo sempre, come se fossero dei capolavori.
Magari non lo sono, eppure fanno ridere, e tanto. E hanno segnato un’epoca, la mia, proseguendo, nel western, la vena ironica dei film di Sergio Leone, sia pure in chiave parodistica, mentre le pellicole ambientate nell’America degli Anni Settanta e Ottanta offrivano uno spaccato di quel mondo vagamente simile a quello di certi polizieschi alla “Callaghan” (pare un caso, ma in fondo in entrambi i filoni c’è di mezzo Clint Eastwood). Tra gli altri titoli, I due superpiedi quasi piatti e Nati con la camicia (entrambi di Barboni/Clucher, rispettivamente del 1977 del 1983).
Poi c’era il filone “caraibico-tropicale”, con (di Sergio Corbucci, del 1981) e Io sto con gli ippopotami (di Italo Zingarelli, del 1979). Anche qui l’immaginario di riferimento era sostanzialmente un cliché, quello dei romanzi di avventura, un po’ alla Robinson Crusoe, ma in versione “evoluta”: carichi di banane, camion di merci su strade sterrate, barconi nella giungla, case in stile coloniale. E, in mezzo, queste due presenze caratterizzate, il gigante rozzo ma buono (Bud Spencer) e il compare magro e atletico (Terence Hill), che sembrano quasi una rivisitazione alla lontana dello storico binomio Oliver Hardy-Stan Laurel.
In tutte le vesti, comunque, quello che faceva presa su di me era il loro modo di fare dissacrante e “ingenuo”, che se ne fregava delle regole più ottuse, quelle senza senso, che servono solo ai potenti, generalmente dipinti, in questi film, come dei coglioni danarosi, circondati da goffi assistenti palestrati, bersaglio privilegiato delle loro inimitabili scazzottate.
Mitici, intramontabili Bud e Terence… tra l’altro stasera c’è “…Altrimenti ci arrabbiamo”, uno dei più riusciti… ma tutti i loro film ci hanno fatto divertire, e ogni volta, anche se sai le battute a memoria, non ti stanchi di riguardarli
Verissimo, e io penso che i film che non ti stanchi mai di rivedere forse, sotto sotto, un po’ capolavori lo siano.
E le mitiche musiche degli Oliver Onions…
Verissimo, grazie per la preziosa integrazione!
Immaginate la mia sorpresa quando, dopo tanti anni, ho finalmente rivisto la pellicola appena restaurata del ” Gattopardo “… e chi era l’attore che faceva la parte del timido tenentino piemontese innamorato di Concetta? Un giovanissimo, dolce Terence Hill…
La scazzottata con cui si chiude “Lo chiamavano trinità” credo di averla vista e rivista almeno 50 volte ma mi fa sempre divertire tanto…ma quante ne prende Mezcal, un bravissmo Remo Capitani!!!
http://www.youtube.com/watch?v=s6oSzeh4Vio
Una coppia eccezionale, che è riuscita a far divertire tre generazioni, con il loro dissacrante umorismo, con le mitiche scazzottate, ma ricevere il cazzottone di Bud Spencer sulla testa… Che dolore… Così come vedere Terence Hill saltare, scalciare e dare cazzotti…. Il tutto senza nessuna volgarità. Sono veramente pochi quegli attori e quei film che facciano ridere senza usare parolacce. Partiamo anche col dire che sovente nei film loro sarebbero i “cattivi”, vedi Trinità, dove sono uno un ladro di cavalli (pena l’impiccagione all’epoca) e l’altro un baro -pistolero. Ma nel corso delle storie noi li vediamo diventare personaggi positivi, sempre affianco dei più deboli. Ad oggi questi film sono assolutamente chicche da vedere e da godere.
Verissimo, Andrea, sono dei film che, dietro l’apparente “stupidità” (che tale non è) danno una grande lezione, anche di libertà. Pensa al finale di “Lo chiamavano Trinità”, quando se ne vanno, perché, dopo aver aiutato il gruppo di religiosi nella valle, non se la sentono di sottostare alla rigidità delle loro regole. Quella non è una fuga da “cazzoni” (non per usare una parolaccia: per rendere l’idea del tipo umano). E’ una presa di consapevolezza, un atto di giusta ribellione e di buon senso. Ce n’è di che imparare.