di Mariantonietta Sorrentino
La cantina delle arti: il teatro di Enzo D’Arco
Uomini di passione e buona volontà sposano creativi progetti di vita e creano attenzione su un territorio. Enzo D’Arco nel Vallo di Diano è tra essi. E se i Tg ci rimandano immagini apocalittiche, per fortuna ci son persone come lui che animano il teatro in una fetta del salernitano con poca rilevanza mediatica. Oggi nel Vallo di Diano “La Cantina delle arti” è una realtà.
Grazie a lui il 20 e il 21 giugno un evento muoverà azioni teatrali in una grotta sul Cervati, “Briganti, cacio e grotta”, iniziativa che si ripeterà a luglio, agosto e settembre, accomunando diversi aspetti presenti nel Vallo.
Incuriositi, a questo punto, abbiamo rivolto qualche domanda ad Enzo D’Arco, fautore di tali attività culturali.
Come nasce la sua realtà “La Cantina delle Arti”? Quando e dove?
L’Associazione Culturale “Cooperativa Culturale La Cantina delle Arti”, nasce nell’ottobre del 2007 a Sala Consilina, nel Vallo di Diano. La volontà e l’esigenza condivisa da un gruppo di amici a voler promuovere la Cultura in tutte le sue forme, con particolare predilezione per le rappresentazioni artistiche, utilizzando ogni forma di segni e linguaggi, sono state l’incipit vitale e determinante. La Cultura è il viatico di ogni essere umano per dare un senso alla propria vita. Il Teatro è per eccellenza la rappresentazione della vita.
Ecco, da questi due concetti chiave, nasce l’idea, il progetto, la realtà de La Cantina delle Arti.
Lo spettacolo sui briganti come ha avuto corpo?
Terra di Teatro, Teatro di Terra. Il Territorio è portatore di ricchezze di cui il Teatro può farsi cassa di risonanza. È evidente come nella cultura odierna una perdita di valore del paesaggio significa anche perdita del rapporto con i miti che hanno fondato la società. L’ambiente territoriale che ci si propone ha dei suoi significati, forze, forme che sollecitano chi vi si mette in relazione. Ascoltare e tramite il Teatro mettere in forma queste sollecitazioni può essere un modo per ritrovare quel contatto perduto col paesaggio e con una cultura strettamente connessa a questo.
L’estate scorsa è stato “l’evento zero”. Un amico mi ha contattato e mi ha “trascinato” sul Monte Cervati, descrivendomi minuziosamente, durante il viaggio a bordo di una moto, l’idea che muoveva il progetto. Io sono rimasto folgorato. I contenuti ed in particolar modo lo scenario naturale che si è dipanato davanti ai miei occhi, ai miei sensi, alle mie emozioni, ha acceso in me una scintilla. Così a settembre dell’anno scorso, ho avuto il privilegio di recitare in una grotta a 1.400 metri d’altezza. Un monologo sul brigantaggio, appunto “nell’evento zero” Grotta, Briganti e Cacio. Le emozioni regalate e ricevute hanno determinato l’inizio de “La Ballata del Brigante”.
Una pièce permanente ed itinerante ad alto coinvolgimento emotivo, ho pensato. Questo devo fare. E questo ho scritto.
Il periodo storico, che insieme agli amici dell’Associazione, abbiamo voluto ribadire, è quello del brigantaggio così come spregevolmente ed erroneamente viene denominato. Purtroppo, come spesso accade, la storia viene scritta dai vincitori e per troppi anni sui libri di scuola abbiamo letto cose non del tutto vere, per non dire altro. Quindi mi capitava la fortunata occasione di poter parlare, di poter focalizzare l’attenzione su di una ferita aperta ed ancora sanguinante, non solo per le nostre popolazioni del Sud, ma per l’Italia intera. Credo che nessun buon matrimonio si possa reggere su delle bugie. Dopo più di 150 anni dall’Unità d’Italia, se vogliamo provare a sentirci veramente italiani, dobbiamo raccontarci la verità, senza nostalgia e senza paura, di come lo siamo sanguinosamente diventati.
Non ho scelto di far rivivere le gesta di un brigante in particolare, di rievocazioni storiche ce ne sono tante e non mi interessano, non ho scelto un dialetto caratterizzante di una zona specifica, di un territorio in particolare, ma la scelta del linguaggio che, in ogni caso è ricaduta su di una lingua dai caratteri meridionalistici (mi si passi il termine), nasce da una riflessione più ampia ed articolata, che poc’anzi descrivevo, ovvero la voglia e la necessità di analizzare e focalizzare un periodo storico nella sua interezza, quindi un linguaggio che non vuole identificarsi in nessun paese, comune o territorio preciso, ma vuole rimanere ampio per rappresentare la voce dell’intero Sud.
La montagna, il Monte Cervati, padrona di casa, l’ho raccontata come rifugio, come ultimo baluardo del senso di appartenenza per i briganti e come fonte di sostentamento, come mito e rito per i pastori e, spesso, gli uni e gli altri, si confondono e si fondono in un unico destino.
In primo piano c’è la Grotta, la “casa/tana” del Brigante. I suoi segreti, gli stati d’animo, gli ideali, i compromessi, così come le delusioni arpeggiano e dimenano la Storia, quella vera, che ne è padrona incontrastata, la Storia popolare, documentata ed orale, di quel periodo storico, fortemente legato a questa parte di territorio.
L’intimità del viaggio, del racconto, quasi carnale, toccante ed irriverente, lascia il visitatore/spettatore con un ricordo indelebile nella mente.
Sospesi tra cielo e prato, assalti, depistamenti, accoglienza, rivelazioni, condivisioni, canti, riti e la cena del Brigante tra pasta e fagioli, caciocavallo e vino, creano una miscela esplosiva che coinvolge in prima persona e sulla strada del ritorno annida il dubbio di aver vissuto un’esperienza reale.
Il mio spettacolo vuole anche essere una provocazione positiva, nel senso, proviamo a sentirci briganti, ma senza armi, “briganti moderni” o meglio ancora, “armati” di sani ideali, di senso d’appartenenza, di orgoglio e proviamo, tutti insieme, a ripartire per affermare con forza: “Chesta è ‘a terra mia” e nessuno deve mai più umiliarla e noi non dobbiamo permettere a nessuno di poterlo fare, perché il Sud è uno spettacolo più unico che raro.
Quanti sono gli attori che vi partecipano?
In scena ci sono quindici attori. La struttura del cast si fonda sugli otto attori ed attrici, me compreso, della Compagnia teatrale La Cantina delle Arti, coadiuvata da altri sette allievi ed allieve, scelti dal gruppo che ha frequentato il Laboratorio teatrale “Fermento alle falde del Cervati”. Il percorso laboratoriale, posto in essere da gennaio a giugno 2015, ha avuto, tra l’altro, lo scopo di inserire all’interno del cast artistico uomini, donne e ragazzi del territorio per fargli vivere l’esperienza di una vera e propria produzione teatrale.
Quali altre esperienze professionali ha intrapreso e sta intraprendendo?
I “viaggi” teatrali sono stati tantissimi e ricordarne alcuni sarebbe difficile, come scegliere tra un figlio e l’altro e allo stesso tempo ricordarli tutti sarebbe impossibile. In ogni modo, tralasciando tutto quello fatto nel ventennio prima della Cantina delle Arti, non posso non ricordare “CuntOmbre”, pièce itinerante alla Certosa di San Lorenzo di Padula nel 2008, così come il “Liolà” di Luigi Pirandello. E come non ricordare il mio “Pulcinella a colori” che ha attraversato l’intero stivale vincendo premi di ogni genere da Bolzano a Canicattì. Ricordo con particolare piacere l’incontro con Emma Dante e la possibilità che mi ha dato di mettere in scena un suo testo, “Acquasanta”, privilegio, che ad oggi, non è mai avvenuto per nessun altro regista o attore europeo. Poi, ho avuto la possibilità di parlare del mio amato Sud, attraverso la riduzione drammaturgica del libro “Fermento, al Sud c’è fermento” del giornalista Salvatore Medici che, ha dato vita allo spettacolo “S.U.D.”, offrendoci la possibilità, a me ed all’attrice Antonella Giordano con la quale condivido la scena in questo spettacolo, di portare il coraggio, la passione, la determinazione, ed allo stesso tempo, le contraddizioni di una Terra dalla quale non si può prescindere per appartenenza e per potenzialità. La nostra penultima produzione, prima de “La Ballata del Brigante”, è stata “Sik Sik, l’artefice magico” del Maestro Eduardo De Filippo. Abbiamo debuttato il 31 ottobre scorso proprio nel giorno in cui ricorreva il trentennale della sua scomparsa. Un lavoro al quale Eduardo era molto legato, io c’ho messo notevolmente mano e tanti soddisfazioni sta portando, non ultimi i premi ricevuti al “Festival Città di Pozzuoli”.
Tanta formazione nella mia carriera, tanti allievi incontrati in questi anni nelle scuole di diverso ordine e grado, laboratori nelle carceri, il nostro Laboratorio Permanente “FoRiArTe” (Formazione-Ricerca-Arte-Teatrale) che teniamo da ottobre a giugno di ogni anno presso la nostra “Casa Cantina” sita in via Luigi Sturzo a Sala Consilina. Dal 3 al 9 agosto riproponiamo anche la costola estiva del Laboratorio, ovvero il “FoRiArTe Summer”. Una settimana di e con il Teatro per tutti i ragazzi dai sei ai tredici anni, tra natura, cielo, prato e prodotti rurali, presso l’Agriturismo l’Aia Antica di Padula (SA). I giovani sono nel mio cuore.
Ad ottobre partirà una nuova nostra “creatura”, il primo Festival Nazionale del monologo, ovvero “MonoDrama” (Monologue Dramatique). Dal greco mono/solo, drama/azione si pone di dare spazio artistico ad un genere teatrale tornato in voga nell’ultimo decennio, dove il rapporto primario dell’Arte teatrale, Attore/Spettatore/Spazio, meglio si evidenzia.
Poi, c’è nella mia testa, nelle mie visioni, nelle mie immagini che spesso affollano i miei pensieri, anche una nuova produzione, ma ovviamente non ne parlo per forti motivi scaramantici.
Qual è il suo sogno nel cassetto?
“Il Teatro è un gioco che va fatto sul serio”, è la mia filosofia artistica. Spero di continuare a “giocare seriamente” più a lungo possibile, “trascinando”, con me e con i cantinieri, tutto il territorio, tutto il Vallo di Diano e non solo, dimostrando che dalla Cultura non si può prescindere, che la Cultura, a 360°, è l’unica possibilità che abbiamo per riscattare con successo il nostro futuro, e quello dei nostri figli, lasciando loro un mondo migliore, fatto di rispetto, opportunità e fantasia creativa, come dire, un mondo/teatro. Certo, un sogno arduo, ma abbiamo il diritto ed il dovere di provarci.