Muori di lei: il desiderio ai tempi del lockdown, tra le note dei Verdena

Per chi è cresciuto a pane e Verdena, la visione del film Muori di Lei era d’obbligo. Anche se in realtà la canzone di uno dei migliori gruppi indie-rock italiani degli ultimi vent’anni che richiama il titolo e che risuona in alcuni spezzoni, è Muori delay. Dove quel delay, e non di-lei, si riferisce a quell’effetto ritardato del suono che, aggiungendosi a quello originale, crea una sorta di eco musicale. Un gioco di parole che ben si presta. E poi è un gran bel pezzo, primo singolo di Requiem, album che sta nel mezzo tra i due picchi massimi della straordinaria produzione della band, ovvero Il suicidio dei samurai  del 2004 e Wow del 2011.

Una sonorità selvaggia e poco conosciuta nell’attuale e discutibile panorama musicale, che il regista Stefano Sardo riporta al cinema, al grande pubblico. E dunque la colonna sonora è un plus, perché a Muori Delay e Trovami un modo semplice per uscirne si aggiungono altre due perle musicali: i CCCP di Giovanni Lindo nel fiore degli anni con Io sto male, e gran finale con Federico Fiumani e i suoi Diaframma con L’odore delle rose. Non avevo mai trovato un film che comprendesse i miei due gruppi italiani preferiti, quello dei tre geniali ragazzi capaci di sfornare pezzi di pura energia dal loro pollaio nel bergamasco, e quei Diaframma che hanno cambiato composizione della band dai tempi di Siberia – che proprio quest’anno compie 40 anni con relativo tour -, ma mantenendo sempre Federico come faro di poesia pura (qui un’intervista al cantante di qualche anno fa).

Dopo la doverosa parentesi musicale, arriviamo alla trama del film. Niente di nuovo sotto il fronte cinematografico, con un professore di liceo che si invaghisce della bella vicina, nonostante matrimonio e figlio in costruzione con la fecondazione assistita per difficoltà di concepimento. Ma andando avanti la visione appassiona.

Siamo a Roma, in un contesto che ci riporta agli anni bui del Covid. E siamo proprio nel mese che ha cambiato tante vite, quel marzo 2020 con l’annuncio di Conte e i relativi provvedimenti di limitazione delle libertà personali. Mascherine FFP2, termometri sparati nelle tempie e gel a go-go, i balconi popolati che cantano, umanità catatoniche in attesa di un raggio di sole, la polizia che rincorre quella coppia che ha trasgredito passeggiando per le strade deserte della capitale. Un momento clou della storia recente, generatore di emergenza emotiva e paura da pannolone Depend di cui scrissi all’epoca, righe che a rileggere ora fanno ancora più impressione. Uno spartiacque tra il prima e il dopo, tra una società già tecnologicamente avanzata ma ancora legata alla presenza, ad una dove scoppia la Quarta Rivoluzione Industriale e l’online in ogni sua forma grazie allo shock pandemico, come ben descritto nel libro IL GRANDE RESET: Dalla pandemia alla nuova normalità

Il protagonista Luca (Riccardo Scamarcio) si ritrova chiuso in casa nel tentativo eternamente procrastinato di scrivere la tesi di dottorato, tra una call con i suoi studenti ed una con i colleghi di lavoro. Di fronte a lui emerge improvvisamente la figura sexy di Amanda (Mariela Garriga), che il prof spia in una sorta di “finestra sul cortile” all’italiana durante i suoi incontri burrascosi con un misterioso uomo. La moglie Sara (Maria Chiara Giannetta) è intanto impegnata a indossare scafandri nei suoi sfiancanti turni ospedalieri, mancando spesso anche di notte. Da qualche esercizio per mantenersi in forma, ad un bicchiere di vino e un tiro d’erba all’attrazione fisica il passo è breve. Tra i due nasce una relazione extra-coniugale, esacerbata da quel senso di solitudine forzata dal lockdown, tambureggiato ogni giorno da numeri impazziti e immagini indelebili dei tg che riecheggiano,  proprio come il delay. I due si incamminano in un sentiero torbido che non porterà niente di buono. Perché c’è sempre un prezzo da pagare per le proprie scelte.

La prima parte di Muori di lei è una storia di desiderio e infedeltà che mi ha subito richiamato Unfaithful – L’amore infedele, film nel quale anche Richard Gere è costretto a subire l’onta delle corna. Persino una scena clou del finale con l’utilizzo di una statua buddhista richiama il Gere che attacca il nemico toy-boy con un oggetto simile; come anche le azioni successive. Oltre allo sprazzo hitchcockiano nella sola modalità di un film condito di voyeurismo, non si può che intravedere anche la Glenn Close di Attrazione Fatale: Michael Douglas è irretito dalla sensualità esattamente come Riccardo Scamarcio, facendosi trascinare in un vortice con conseguenze disastrose.

Riccardo Scamarcio e Mariela Garriga – Foto di Paolo Ciriello, medusa.it

Quante volte, nel cinema come nella vita reale, cedere alla trasgressione, al desiderio, alla novità ha portato conseguenze positive? Per attimi di adrenalina e dopamina si gettano nel bidone dell’immondizia anni di lavoro, relazioni vere, situazioni stabili che sono la vera trasgressione della vita. Con quella nutriente ed evolutiva capacità di lavorare in sinergia nelle difficoltà quotidiane, nella fluttuazione dei rispettivi stati d’animo, nelle storie personali che si intersecano e creano quelle immagini che in una coppia sono almeno sei, come ci dice Don Miguel Ruiz:

La donna ha un’immagine esterna che cerca di proiettare verso gli altri, ma quando è sola ha una diversa immagine di sé. Anche l’uomo ha un’immagine esteriore e una interiore… Nella relazione tra un uomo e una donna, sono coinvolte almeno quattro immagini… Quando un uomo incontra una donna, si fa un’immagine di lei dal proprio punto di vista, e la donna si comporta nello stesso modo. L’uomo poi cerca di adattare la donna all’immagine che si è fatto e la donna cerca di adattare lui all’immagine che si è costruita. Ecco che le immagini sono sei. (La padronanza dell’amore, pp.23-24)

Lavorare su se stessi è già bello di suo, lo è ancor di più se si riesce a farlo in due: a quel punto tutto è un valore aggiunto alla nostra esistenza, quella più autentica, che arriva al nucleo, e ben lontana dalla scopata di un Tinder qualsiasi.

Il lockdown ci ha immersi ancor più in questa calotta cranica virtuale che ci impedisce invece di soppesare quello che conta davvero. E Luca ovviamente, passata la sbornia e la dipendenza dalla novità, se ne accorge quando ormai è in piene sabbie mobili. Come accade a Michael Douglas quando Glenn Close gli cucina il coniglietto.

Perché le relazioni possono diventare pericolose, come il titolo di un altro film, quando non si fa subentrare la necessaria dose di razionalità. Quella che ci permette di capire meglio chi abbiamo di fronte, senza lanciarci in situazioni che alla lunga porterebbero solo rogne.

Muori di lei nel corso dei minuti diventa un interessante thriller, i protagonisti fanno emergere il loro lato oscuro che li divora, e si scoprono i secondi fini dietro quei corpi appassionati. “Tutti abbiamo dei segreti e dei desideri. Tutti abbiamo un lato oscuro” dice Amanda.

In fondo, morire d’ossessione per un altro/a, e ancor più se presenta delle incoerenze evidenti, non è mai una buona opzione. Essere consapevoli e integri, che non significa essere moralisti, è la scelta migliore in un mondo di desideri infiniti dettati dalle altrettanto infinite possibilità che abbiamo. Spesso effimere.

A tutte queste impalcature virtuali, costruite su fondamenta tutt’altro che solide, è meglio rispondere con L’odore delle rose, la reazione chimica naturale di Federico Fiumani, che per durare nel tempo sottintende però anche una scelta cosciente:

L’odore delle roseDura il tempo di un sorrisoSul tuo abito da sposaDura il tempo che vuoi tu

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