Il vento sorrideva: la morte sul palco del teatro dell’assurdo

Canzonare la morte è forse il miglior modo per non temerla. E farsela amica. E Il vento sorrideva, data studio messa in scena dalla compagnia teatrale “I Bellini delle Stelle” – nata a Firenze nel 2023, e composta da Marcella Gargini, Vincenzo Libone, Gianluigi Lorenzi e Alessio Marconi -, ci riesce benissimo.

Tutto si svolge durante una veglia funebre: una bara è l’epicentro intorno al quale quattro personaggi – uomo uno, uomo due, uomo tre, e donna – si confrontano sul tema della morte, mettendo in luce fragilità e bassezze dell’essere umano, in un continuo ping-pong tra il comico ed il tragico, tra il luogo comune ed il grottesco. Il tutto in modo esasperato, con la tipica formula del teatro dell’assurdo, dove non c’è logica né trama, ma solo messa in scena senza freni dell’assurda ed alienata condizione umana.

Alla tristezza dell’uomo uno (Gianluigi Lorenzi), legato in modo indissolubile allo scomparso, si alternano frasi e atteggiamenti di circostanza che accompagnano un evento luttuoso, lotte per avere la stessa egoica attenzione del defunto,

“Io, da parte mia, sono abbastanza contenta. Quantomeno, ho la soddisfazione di essere quella che ti ha fatto venire voglia di pizza. E non è poco.”
“No, non è poco per niente!”

momenti di umano cinismo in cui la bara diventa tavolo per una pizza da condividere, discorsi profondi su quanto una circostanza del genere avvicini le persone, per poi ri-allontanarle subito dopo.

E quelle domande, alcune esplicite, altre implicite: quando muore qualcuno, piangiamo realmente per quella persona? O piangiamo per noi stessi, per quello che perdiamo, costretti a tornare di nuovo a quella – testuali parole – “vita di merda” che quel sostegno così solido rendeva più leggera? E poi, quello nella bara chi è? È quella persona cara, o siamo noi stessi, morti ancor prima di morire effettivamente?

Uno spettacolo che lascia aperte le risposte sulla paura più grande dell’essere umano, unico “animale” consapevole di dover morire e per questo in perenne lotta contro “il senso di solitudine, d’impotenza di fronte alle forze della natura e della società, che gli rendono insopportabile l’esistenza.” (Erich Fromm, L’arte di amare, pag.22)

Un’ora di grande intensità teatrale per mettere al centro un tabù del quale si parla sempre malvolentieri, se non in occasione di un evento ad hoc che irrompe nel quotidiano. Come nel caso di un personaggio di primo piano a livello mediatico, o a livello personale, come in questo caso.

Quando muore qualcuno non siamo mai pronti, vorremmo sempre il lieto fine, l’infinito per tutti, ma soprattutto per noi stessi. Guardando lo spettacolo, non ho potuto che pensare all’incipit di La Morte di Ivan Il’ič di Lev Tolstoj, quando il pensiero dominante dei più alla notizia della scomparsa di Ivan è un egoistico “meno male è toccato a lui, io sono vivo”. Il focus è sempre sull’IO-IO-IO, non sull’altro, ma sulla propria sopravvivenza, e al rimando di quel tragico evento che ci toccherà, più poi che prima; per adesso pensiamo alla partita della sera o ai cambiamenti nelle posizioni lavorative. Così accade nel racconto, come ai quattro in teatro: in fondo, meglio pensare a che pizza scegliere tra salamino piccante, doppia mozzarella o peperoni.

Ho avuto il piacere di conoscere Gianluigi Lorenzi in occasione della notizia della scomparsa di Andrea Pieri, amico e maestro di cui ho scritto un ricordo qua, e Il vento sorrideva parte inevitabilmente dall’esperienza diretta di Gianluigi con quella morte, con la perdita di un pilastro qual era Andrea. Che ha sicuramente assistito nella realizzazione della scrittura e della messa in scena di questo spettacolo, ballando tra fragorose risate, con quei suoi modi sfrontati e puri. Si sente.

Per adesso noi siamo ancora qua, chissà per quanto, e mai dobbiamo dimenticare la presenza della morte che ci segue, sempre pronta a vincere la partita a scacchi ben rappresentata da Ingmar Bergman nel film Il settimo sigillo. Non per averne paura, ma per comandare in positivo le nostre azioni di vita.

“Il settimo sigillo” di Ingmar Bergman e la partita a scacchi tra la morte e il protagonista Antonius

Ogni lutto vissuto, sia fisico che magari di altro tipo, è momento di evoluzione dell’anima, di puro cambiamento se disposti ad accettarlo. Personalmente, ogni volta che mi è capitato di ritrovarmi in quel vuoto, in quella perdita, ho sempre sentito forte il collegamento con il nucleo più profondo. Evolversi è discendere nel dolore, crescere è discendere (James Hillman, Il codice dell’anima, p.63), e la solitudine territorio per calarsi nella vita più intima. Ed è l’accettazione la chiave di tutto, l’accettazione della fine, che è parte dell’inizio, che è faccia di una stessa medaglia, anche se vorremmo l’eterno, ma non è umanamente possibile, non ci è concesso, e allora dire sì è l’unica soluzione. Ogni volta. “Attaccàti un cartello in camera da guardare ogni volta, con scritto ‘Va bene così'”, mi disse Andrea una volta riguardo a situazioni che non volevo accettare.

Bravissimo Gianluigi, in te rivedo parti del mio amico e maestro, e ne sono felice. Bravissimi tutti gli attori della compagnia, davvero potenti. Pur non essendo un amante viscerale del teatro, prediligendo ad esempio il cinema di cui tanto scrivo, Il vento sorrideva merita decisamente. Prossima tappa l’8 maggio 2025 alle 21, Teatro delle Spiagge (via del Pesciolino 26, Firenze). Andate a vederlo.

Splendido il monologo finale di Marcella: il vento quando soffiava forte sorrideva, perché in fondo era vita, vita e vita.

Meravigliosa la scelta musicale, con I Envy the Wind di Lucinda Williams che restituisce perfettamente quell’atmosfera di malinconica profondità e spiritualità.

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